Ella a cinque anni, quando i suoi coetanei si abbandonavano alla deliziosa noncuranza cinguettante della loro età, mostrava sentimenti precoci di amore alle cose celesti, aveva momenti d’incantevoli assorbimenti divini, nei quali la sua anima pareva entrasse tra le sfere di un sogno supremo e vi si dilettasse. Meditava continuamente i dolori di Maria, e ne traeva ammaestramenti a soffrire le tribolazioni terrene, a sfidarle, a procurarsene, con gli occhi dell’anima rivolti al Cielo; nel suo nobile cuore si ripercuoteva la passione del Divin Redentore.
Ella non vedeva, così, altra grandezza che nel sacrificio; non provava maggiore esultanza che nel cingere spontaneamente la corona del martirio; e a ciò le sue preghiere eran rivolte; però ch’ella stimava grazia sublime la sofferenza, e implorava che codesta grazia del martirio scendesse presto su la sua persona come un lietificante lavacro. Ogni giorno, nelle quiete ore del pomeriggio, la virtuosa fanciulla si recava ad orare nella Cappella di Santa Maria di Costantinopoli, la cui porta chiusa a chiave, miracolosamente si apriva sotto la spinta della piccola mano. La Regina dei Cieli si piaceva in tal modo, di ammettere a solitari colloqui, quell’anima candida nella sua sacra Casa.
Un giorno, mentre la fanciulla era in chiesa, genuflessa devotamente e immersa nella soavità ineffabile della preghiera, dalla vicina statua dell’Ecce Homo partì una voce, che dolcemente le disse: “Figlia, sei stata esaudita!” Ella, tutta fremente, presa da sussulti, fuggì precipitosamente a casa e, col tremito e le lacrime dell’emozione più viva negli occhi, raccontò ai suoi il fatto soprannaturale.
La grazia del martirio divenne palese alla fine del sesto anno quando una fierissima infermità venne a colpirla: si manifestò in lei la tubercolosi polmonare con dilatazione cardiaca, mali refrattari alle cure della scienza e che minano l’esistenza più gagliarda.
Come il fiore che, dardeggiato continuamente dai cocenti raggi del sole, appassisce e si reclina stanco in su lo stelo, così la bambina flagellata dal tremendo malore perdette a poco a poco la primitiva bellezza, fino a diventare uno scheletro coperto di epidermide, un essere vacillante, malato, contorto e rattrappito. A lenire alquanto le sofferenze della piccola martire, si dovette adagiarla in una cuna sospesa, nella quale ella fra acerrimi dolori, giacque immobile per ben tredici anni.
Angelica, con santa rassegnazione, sopportava gli atroci spasimi del male che la rodeva. Durante il lungo periodo di quella sua terribile infermità, la piissima creatura ebbe delle visioni, che ella non sapeva spiegare.
In sul finire del tredicesimo anno dal tempo in cui si era manifestato in lei il crudelissimo morbo, mentre un giorno placidamente riposava nella sua cuna e pareva che gli spasimi dovessero accordarle un un pò di tregua, vide entrare nella sua camera una signora di grandissima bellezza, vestita con abiti magnifici che si presentò dicendo: “Io sono Maria di Costantinopoli”. La gioia e lo sbalordimento insieme della povera inferma si possono immaginare, non descrivere. “Tu non morrai,soggiunse, quantunque i tuoi , prevedendo la tua prossima fine, ti abbiano di già fatta costruire la cassa mortuaria. Io il sabato santo 16 aprile, alle ore 24, verrò a guarirti.” Dette queste parole, disparve.
Angelica, dimenticando per un istante i suoi dolori, si abbandonò allo sfogo della sua emozione, piangendo a lungo. Poco dopo, venuta in camera la mamma, le narrò della celeste apparizione avuta, non omettendo di rivelare, dolendosene, il fatto della cassa mortuaria. La madre protestò di non saperne nulla, ma, da informazioni prese, dovette costatare che la cassa era stata effettivamente preparata dal falegname Antonio Lopasso, su ordine di Angiolina Catalano, congiunta dei signori Mastroti.
E venne il Sabato Santo 16 aprile 1870 e il male, invece di cessare si acuì. Angelica pareva agli estremi: anche i meno pessimisti avevano rinunciato ad ogni speranza e si riteneva prossima la catastrofe. In sul declinare del giorno, quei di casa si raccolsero si raccolsero nella attigua cappella di famiglia. Mentre essi fervidamente pregavano, udirono un grido acuto che esclamava: “Mi ha lasciata! Mi ha lasciata!”
Accorsero spaventati nella camera dell’inferma ed oh! meraviglia! Quel corpo inerte, che poco prima pareva un cadavere stecchito, si era rianimato: quello scheletro contorto aveva riacquistato le sue primitive forme. Angelica sorridente muoveva incontro ai propri cari! Il miracolo era un fatto compiuto!
Nessuna penna potrà mai descrivere la scena commovente, la gioia delirante, il tripudio incessante che seguì a tanto prodigio.
Il giorno seguente al miracolo si era diffuso in paese l’annuncio lietissimo del prodigio: e, quando dalla casa dei signori Mastroti, donde il giorno innanzi si aspettava di vedere uscire un feretro, uscì Angelica, che, sana, come risorta, muoveva al tempio di Maria di Costantinopoli a sciogliere il voto della sua più viva gratitudine, nessuno degli astanti credeva ai propri occhi, e tutti, compresi di religioso rispetto, additavano in quella vergine la prediletta ancella del Signore, il quale aveva così poderosamente affermata la suo onnipotenza..
Intanto i giorni succedevano ai giorni, e nessuna apparizione veniva a rincuorare la giovinetta risanata. Sembrava che la Madre di Dio, operato il miracolo, volesse abbandonarla a se stessa.
Il giorno 18 Maggio di quello stesso anno 1870, mentre Angelica , secondo l’usato, si trovava sola nella cappella gentilizia, genuflessa, orante, una eterea luce le abbagliò le pupille, e, circonfusa di sole, le apparve la Madre di Dio, la quale, confortandola, le disse con la dolcezza cui ormai la giovinetta era adusata: ” Figlia mia, io non ti ho abbandonata!” e quando Angelica pregò la Vergine di portarla seco nel regno dei Cieli, Ella le rispose: “No, figlia, non è tempo ancora, poiché tu devi portare la tua croce!”
E, difatti, nell’anno 1871 Iddio volle provarla con un nuovo martirio; la paziente giovanetta fu assalita da asprissimi dolori nell’apparato urinario, dolori che le davano spasimi acutissimi. Per divina rivelazione, poi, ella stessa seppe trattarsi di calcolo alla vescica.
I giorni passavano e il persistente martirio di Angelica assumeva proporzioni allarmanti. Le cure della scienza erano vane e i dolori lancinanti si protrassero fino al 1873. Il 14 Aprile di quell’anno riapparve alla pia giovinetta nuovamente la Madre di Gesù, e rincuorandola con confortevole soavità, le disse: “Il 3 del prossimo Giugno, giorno a me consacrato, alle ore 15, verrò a guarirti.”
E’ facile immaginare di quanto si sentisse sollevato l’animo travagliato di quella virtuosa martire sia per la dolce promessa fattale, sia per la nuova grazia conseguita di rivedere la diletta Apparizione per tanto tempo vagheggiata invano.
Ella aspettava ansiosa il giorno designato; ma, nel frattempo, l’incrudelire del male vie più la stremava di forze. Nel mese di Maggio, pareva ella dovesse rendere da un momento all’altro l’ultimo respiro. L’ardore della fede, la forza di volontà la sostennero sino ai primi di giugno La mattina del tre ella volle levarsi; però si reggeva a stento sulle ginocchia , provando dolori lancinanti ai fianchi e al basso ventre. Ad un tratto fu presa da grave assopimento per alcuni minuti, ebbe la consueta visione celeste e, subito dopo, il dolore si dileguò e il calcolo, ridotto in frammenti, venne espulso.
Angelica riposò placidamente, immersa in un sonno profondo. Quando si svegliò, si accorse che aveva su entrambe le guance impresse due macchie di color rosso bruno che divenivano di colore più carico ogni volta che Angelica aveva una visione.
Dopo questa seconda guarigione, comincia per Angelica la sua vita d’ininterrotta comunione con Gesù Cristo; quindi, estasi paradisiaco continuata e spesso deliqui di amore celeste. Era tale e tanto il fuoco divino che ardeva in quel vergine cuore, che il costato le si aprì in direzione del medesimo, e sangue abbondantissimo ne spiccava di continuo. Per piacere al suo Sposo Divino, Angelica non si stancò mai di martoriare il suo corpo con penitenze austere e cilici che lasciavano nel vivo delle membra larghe tracce sanguinanti.
Presso l’abitazione dei signori Mastroti, in Papasidero, si ammira un vasto e delizioso giardino, al cui fondo si apre un folto ed intricato boschetto di rovi frastagliato dal margine di un profondo burrone. In quel boschetto, Angelica soleva raccogliere le spine con le quali si formava il giaciglio: spesse volte ella fu vista attraversare il periglioso burrone, come se si trovasse sopra una via comoda e pianeggiante.
Per tutti i fatti prodigiosi accennati,e dei quali la novella si propagò rapidamente a Papasidero, era un continuo pellegrinaggio di forestieri, che da diverse parti accorrevano a vedere ed a consultare l’Eletta del Signore.
La pia Donna, affabile e benevola sempre tutti accoglieva con bel garbo, e, letto chiaro nell’animo di ciascuno, per chiunque si rivolgesse a lei aveva un saggio consiglio da dare, una previsione da fare.
Nel 1890 Maria Angelica Mastroti lasciò il paese natio per seguire il nipote Nicola che si trasferì a Castelluccio Superiore per studiare Teologia col Teologo Taranto.
Si approssimava, ormai, a grandi passi l’ora in cui doveva abbandonare questa oscura valle di lacrime e si accresceva in lei la straripante passione per Gesù Cristo e si rendeva sempre più imperioso di cibarsi delle carni immacolate di Lui. Per questa ragione S.E.Monsignor Di Milia le ottenne di ricevere il SS. Sacramento nella cappella di famiglia, dove il nipote Nicolino ogni mattino la comunicava.
Maria Angelica essendo così più prossima allo Sposo adorato, aveva momenti d’estasi più frequenti e lunghi deliqui; e quell’accumulamento di passione ebbe effetto così potente su tutto il suo essere , che le costole le si ruppero in direzione del cuore.
Per prepararsi al supremo distacco, si recò a stabilirsi in una casa di campagna, in cerca di solitudine, ed ivi raddoppiò le sue dure penitenze.
Il giorno 22 Maggio 1876, ella voleva ad ogni costo recarsi a Papasidero per bruciarvi il suo corredo ed affidare in custodia una sedia veneratissima su cui si era poggiata la Madonna. I parenti la dissuasero da quel viaggio.
Essendo, intanto in Papasidero il martedì seguente la festa di Maria di Costantinopoli, il nipote sacerdote Nicolino vi si recò: al momento della partenza, Angelica gli disse:”Figlio tu parti; ma io temo forte che tu più non mi rivedrai”. Ma egli non badò a quel preavviso, e, fiducioso che la zia sarebbe stata conservata ancora a lungo al suo affetto, partì senza preoccupazione di sorta.
Al mattino del 26 Maggio1896, dunque, incominciò il tramonto terreno della santa Anima. Nelle ore del pomeriggio, trasfigurata, proferì parole misteriose. Poco dopo ella si sentì mancare: con passo vacillante, andò a rinchiudersi nella sua stanza. Poi , trascorsi pochi momenti, quei di casa udirono con uno schianto doloroso la caduta di un corpo in quella stanza.
La vecchia madre di lei, desolata, presaga dell’accaduto, accorse e adoperò tutte le sue forze tentando di aprire la porta che però era chiusa di dentro. Il cugino Angiolino introdusse, trepidante un piccolo ferro nella toppa della serratura, la quale, come per incanto, prodigiosamente si aprì. Ed ahi! triste spettacolo: Angelica era in ginocchio, con le braccia spalancate, e il volto al suolo. Era spirata dolcemente. Le sue pupille erano ancora rapite in estasi e cercavano il cielo. La creatura prediletta da Dio aveva spiccato dolcemente il volo per il trono del Signore.
All’annuncio della morte di colei che godeva di una stima profonda in tutto il contado fin nei più remoti paesi della provincia, fu un lutto generale.
Un mesto pellegrinaggio non interrotto mosse verso la villa in cui era spirata, e ciascuno dei paesani e dei forestieri portava sul volto i segni della costernazione più sincera.
Dopo quattro giorni di meste onoranze, la salma di Maria Angelica Mastroti fu trasportata a Castelluccio Superiore dove rimase esposta in casa Orofino fino al quinto giorno nella cappella gentilizia, ove l’affluenza dei visitatori fu trabocchevole.
Nel settimo giorno della morte ebbero luogo i funerali che riuscirono di un’imponenza magnifica ai quali parteciparono le intere popolazioni di Castelluccio Superiore e Inferiore e anche quella dei paesi vicini. Il trasporto funebre all’ultima dimora fu di quanto più commovente e grandioso si possa immaginare.
Il nipote Nicola Mastroti, ad attestazione alla defunta , alla amorosa madre elettiva, ha fatto erigere nel Cimitero una elegante e artistica cappella in cui la preziosa spoglia mortale è racchiusa in un mausoleo marmoreo, sul quale si legge la seguente iscrizione :
MARIA ANGELICA MASTROTI
le cui spoglie chiude questo avello
nacque in Papasidero a dì 4 Febbraio 1851
visse vita verginale e mortificata
per piacere unicamente a Gesù Cristo
adorato sposo del suo cuore
col quale conversando genuflessa
spirò l’anima beata
in Castelluccio Superiore
a dì 26 Maggio 1896
Cenni biografici tratti dal testo: “Alla Pia Memoria di Maria Angelica Mastroti nel suo primo anniversario” edito a Napoli nel 1897
L’angolo del Santuario dedicato alla Serva di Dio Maria Angelica Mastroti: